Nina Berberova
Dai versi sul passato

Che giorno secco e afoso d’estate,
che polvere c’era su Pietroburgo!
In via Morskaja cambiavano il selciato. C’era
un frastuono terribile. Mia madre voleva un figlio,
mio padre no, voleva una figlia.

Era presto, e a Dublino ancora
nessuno si era destato nella vecchia casa
e la pena non scricchiolava nel suo angolo,
mentre a Vienna schiamazzando già si ritrovavano
gli studenti, soffiandosi il naso, discutendo e fumando;
i capello arruffati, gli occhi in fuori
un uomo guardava tutto il giorno la sua formula,
preparando il secolo a rivolgimenti
quali non ne sognavano, Orazio,
né i nostri filosofi
né i fantasticoni che…
                                  Dovendo gridare per sette ore
e ululare dal male, che almeno sia un maschio!
Giorno e notte odorava la Morskaja
Del bitume che ribolliva nei calderoni,
e io adesso amo questo odore.

Sono venuta al mondo facendo a pezzi mia madre,
mentre Monet dipingeva le sue cattedrali
e Mahler componeva la sua Sesta.
Poi le ho mordicchiato il petto a sangue,
e non l’ho lasciata dormire per sei settimane
con le mie grida incessanti nella torrida Pietroburgo.

E lei allora piangeva di notte
per la debolezza, il dolore e il terrore
che non le somigliassi.
(Posso dire che ha avuto
ragione). Ma accanto a lei se la godeva
mio padre, essendo andata come desiderava,
e diceva che se urlavo
lo facevo per tempo e poi
non avrei mai pianto.
(Anche lui in questo aveva ragione).

E di avere avuto ragione andarono entrambi fieri
Sino alla fine dei loro giorni. Fino a quando
Sempre lì, sempre nella vecchia Pietroburgo
(ma nel gelido 1942)
Insieme morirono assiderati in una notte nera.

Tradotto da Maurizia Calusio