Bella Achmadulina
La tua casa

La tua casa, ignara del disastro,
mi accolse con un bacio sulle guance.
Le tazzine, come pesci nell’acquario,
mi guardavano dai vetri del buffet.

Un cane mi venne incontro saltellando,
piccolo e urlante come una cornacchia.
Sul davanzale i cactus rizzarono
i loro aculei pretenziosi e innocui.

Venivo come spossato ambasciatore
dello scompiglio di tutto l’universo,
e la tua casa mi guardò negli occhi
con un sorriso buono e delicato.

Non attirò sul mio capo
la vergogna, non si tradì.
La tua casa mi giurò che mai
aveva visto quella donna.

Diceva: — Sono vuota, vuota…
Rispondevo: — Ma forse, chissà dove…
Diceva: — Perdona, perdona…
Entra e dimentica.

Oh, come temevo sul principio
di trovare un fazzoletto, un altro indizio,
ma la casa ripeteva il suo consiglio
e spostava gli oggetti di nascosto.

Spazzava via le impronte di quell’altra.
Oh, con quanta abilità celava
che lì non era caduta una lacrima,
che lì non si era appoggiato un gomito…

Risacca scrupolosa, portò via tutto:
un necessaire ormai vuoto,
l’orma di una pantofolina
il bottone caduto da un guanto.

Si erano messi d’accordo: il cane
non ricordava con chi aveva giocato,
il chiodo — chi l’aveva battuto,
e tutti mi davano risposte nebulose.

Anche gli specchi erano vuoti
come strade dopo il disgelo.
Il bouquet non riusciva a rammentare
chi l’aveva messo nel bicchiere di cristallo.

Oh, casa estranea, casa cara, addio!
Ti chiedo soltanto un piccolo piacere:
sii buona anche con lei, quando verrà,
consolala con un gentile inganno.

Tradotto da Serena Vitale